È bastato un incontro nel 2017 per stabilire una relazione che in questi anni ha generato tante belle cose.
Prima una visita a conoscere la realtà professionale della cooperativa e poi sul palco di Robe da Mati presentando alcuni brani del suo primo album “La rosa Corsara”.
L’anno successivo il nuovo album (22.11) dove un è inserito il brano Il solco dedicato proprio alla nostra organizzazione.
Cosa ti ha spinto scrivere questa canzone?
Il profondo desiderio di conoscere una realtà diversa, lontana dai riflettori ma al centro di una precisa visione di vita e di società, un gruppo di persone, di donne e uomini che hanno contribuito a lasciare un vero e proprio solco nella mia vita, consapevoli della loro forza e della loro fragilità, della loro semplicità e complessità, da conoscere, capire ed integrare nelle nostre vite. Immergermi nella realtà della Sol.co mi ha dato tanto e continua a darmelo; il sorriso e la purezza degli amici della cooperativa hanno saputo allontanare quel fango che tante volte copre la nostra vita e la riempie di pregiudizi e intolleranza, riscoprendo così di poter essere persone che meritano di più. Ho immaginato, quindi, una canzone particolare, non facile e non lineare, non immediata, forse come l’approccio a una realtà di questo tipo, caratterizzata, spesso, da un atteggiamento iniziale di distanza e di difficoltà, di poca comprensione. Volevo ricreare un sentimento che, a volte, caratterizza la poca capacità di intendere, tollerare ed integrare velocemente nelle nostre vite ogni manifestazione umana, sociale, culturale, come la Sol.co, per poi creare un momento di chiarezza, di comprensione, il momento del ritornello che tutto illumina. Il solco vuole dare voce a quelle persone che molte volte vengono silenziate dalla vita di tutti i giorni ma che, grazie all’aiuto di «altre» persone, riescono a ritagliarsi il loro spazio in questo tempo troppe volte avverso. Una canzone che vuole abbattere i muri. Il «delirio» finale in cui la canzone cambia ritmo è testimonianza proprio di questo crollo, un’esplosione che lascia un solco, un segno indelebile nelle nostre vite.
Sempre nel 2018 viene organizzato, su proposta dello stesso Lorenzo, un concerto esclusivo per soci e tirocinanti. Questa suo spiccata sensibilità per questi temi ci spinge a chiedere:
Cosa può fare oggi la cultura per il sociale?
Dal mio punto di vista, la cultura è l’unica soluzione alle tante cose che mal funzionano attorno a noi e, allo stesso tempo, è la risposta e la conferma dei tanti e validi progetti a livello sociale che si sono strutturati sul territorio, dando luogo a prospettive di vita migliori, ad un’integrazione costante, al benessere dell’animo e ad una tolleranza verso gli altri, che non è mai troppa. La conoscenza, prima di tutto, crea tolleranza, come dico nel testo della canzone dedicata alla Sol.co: «conoscere è capire e più in fondo tollerare…». Credo che la cultura abbia bisogno di non rimanere solamente uno slogan di propaganda e al quale tutti aderiamo indistintamente, ma deve essere una spinta forte, visione e passione, lavoro dal basso, deve essere un serbatoio che costantemente riempiamo attraverso partecipazione e creazione di significato. La cultura per il sociale che ho in mente e che credo serva al giorno d’oggi, in un mondo rapido e cangiante, è quella che non prevede le solite forme tradizionali di fruizione, chi produce e chi «riceve» cultura, ma è una forma ibrida, dove i ruoli si mescolano e il processo culturale diventa collettivo, osmotico e funzionale alla conoscenza, allo scambio e al processo creativo. Cultura è permettere di conoscere una realtà come la Sol.co, cultura è restituire le suggestioni quotidiane in una forma nuova, originale, intuitiva come una canzone o una poesia. La cultura, e siamo stati tutti testimoni, è ciò che ci ha salvato in tempo di isolamento forzato, è stato il nostro pane, dalla musica ai libri, dal teatro al cinema, dalla poesia alla fotografia ed ogni altra manifestazione artistica.
In questi anni Lorenzo, instancabile viaggiatore, ha raccontato le sue sensazioni anche attraverso la scrittura non sono di canzoni ma anche di racconti e poesie.
La salute mentale è un tema che riguarda tutti. Tu che hai fatto della parola il tuo lavoro, come credi debba essere raccontata alle persone?
Ogni volta che penso alla salute mentale e allo stigma che spesso porta con sé questa condizione, mi chiedo: «Ma se si ammalano i polmoni, se si ammala il cuore, il sangue, perché non può ammalarsi un organo tanto più complesso come il cervello?». Credo che esista una sorta di tabù verso il dolore e la malattia in generale, ancora di più quando si tratta di una difficoltà a livello mentale. Eppure, come in tante altre situazioni, molto spesso siamo costretti a convivere con un ostacolo, ad adattare la nostra vita in base a questo; “e poi chi dice che sia un ostacolo? È la cultura di massa che ha sempre teso e tende a confinare chi è più debole, chi è malato, chi è in difficoltà. Ecco, il mio compito, l’impegno di una vita intera che ho preso con me stesso e con la gente, è quello di lavorare con la parola ed unire mondi, persone, luoghi, modi di pensare e di agire. Sento che con le pagine di un libro e le parole di una canzone la questione attorno alla salute mentale potrà non essere più considerata come condizione speciale, come qualcosa da relegare o da estromettere dalla società. Credo che la nostra società, la società che si autodefinisce normale, abbia più problemi e difficoltà di chi viene facilmente etichettato come malato mentale. Forse dovremmo ripensare alla scala di valori su cui fondare la società di domani, una società che non dica più, troppo facilmente, «siamo tutti uguali», ma una società che si struttura, che integra, diventa tollerante a partire dalle differenze, sentendosi uniti nella diversità, come ricchezza e non come stigma, individuando le diversità per migliorarci come persone, per aumentare la nostra tolleranza e comprensione. Credo che la salute mentale debba essere raccontata con rispetto e conoscenza e con l’onestà intellettuale di riconoscere che nessuno è sano e nessuno è malato, che tutti siamo sani e tutti malati fino a che avremo queste barriere, perché, come dice Thor Heyerdahl, «di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone».